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Step Up 4 Revolution
A sei anni di distanza dal primo "Step Up", di cui il protagonista Channing Tatum ("Magic Mike") è diventato intanto una delle star più quotate di Hollywood, torna nelle sale la saga dance più amata degli ultimi anni dai teenager. Diversamente dai soliti franchise questo dei "passi di danza" non ha legami narrativi con i capitoli precedenti, ma ne condivide le tematiche giovanili e gli aspetti visivi, che il 3D degli ultimi due episodi ha contribuito a rendere ancora più allettante. Cosa c’è dunque di rivoluzionario nel nuovo sequel? "Step Up 4 Revolution" combina i suoi punti forti - le coreografie impeccabili, una colonna sonora attuale e performers strepitosi - con la modernità del flash mob, che ha ispirato chiaramente la sceneggiatrice Amanda Brody.

La storia, semplice, modesta e schematica, è quella dei Mob, una crew che si allena e si esibisce non lontano da South Beach, a Miami. I suoi fondatori, gli amici d’infanzia Sean ed Eddy, di giorno lavorano come camerieri nel complesso alberghiero dell’avido tycoon Bill Anderson e di notte sognano di sfondare come ballerini. Per farsi notare dalla riva ricca della città organizzano esibizioni ai limiti della legalità e inseguono una meta 2.0: accumulare 10 milioni di contatti su YouTube e vincere un cospicuo premio in palio.
L’obiettivo viene però perso di vista quando il businessman propone al sindaco di demolire i bassifondi della città per costruirvi un’area commerciale. Con l’aiuto di sua figlia Emily, combattuta tra l’amore per l’unico genitore rimasto e la passione per la danza, il gruppo proverà a lottare per la prima volta per difendere la propria cultura e i propri diritti come il popolo di Occupy Wall Street.
Se la trama, che ammicca ai teenager con la love story romantica ma proibita alla "Dirty Dancing", con l’energico cameratismo dell’hip-hop e con la vitalità dei suoi giovani protagonisti più orientati a "rompere le regole" che a realizzare il vecchio sogno americano, lascia perplessi gli spettatori più adulti ci penseranno il ritmo sfrenato e le atmosfere pop a intrattenerli in sala. I ballerini del film, diretto da Scott Speer, regista della serie "The LXD", cavalcano auto sfavillanti come tavole da surf, si lanciano con nonchalance tra i tavoli di un ristorante superchic, marciano per protestare come in un video(game) dei Pink Floyd e chiunque farebbe fatica a non riconoscerne la bravura. Si va dal modesto, si fa per dire, ballerino professionista Misha Gabriel Hamilton, non a caso tra i credit del doc "Michael Jackson's This Is It", alla leggiadra Kathryn McCormick, finalista di un talent americano, fino all’acrobatico e popolare Adam G. Sevani che sorprende tutti con il suo irresistibile cameo.
Grazie alle loro strabilianti capacità si chiude un occhio sulle interpretazioni e sui dialoghi, insipidi e trascurabili, e ci si lascia travolgere da un viaggio che ricorda quello del lontano e memorabile Kevin Bacon in Footlose: cambiano gli scenari, che incrociano contesti diversi in linea con i mash-up tanto in voga, cambia la musica, più creativa in tempi di crisi, ma c’è sempre qualcosa che mette d’accordo tutti e per cui vale la pena scontrarsi.
Come la voglia di reclamare il proprio posto in una comunità. O in una community.

La frase:
"Qui creiamo i nostri pezzi: è la nostra batcaverna!".

a cura di Angela Cinicolo




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